Recensione de “I baffi” di E. Carrère

[NB: Questo libro fa parte della selezione per il gruppo di lettura che tengo su Instagram, lo abbiamo letto nel mese di febbraio. Se vuoi unirti al gruppo, non esitare a contattarmi!]

Carrère o lo si ama o lo si odia. Questa è la massima generale. Dopodiché, ci sono libri che tendono a dividere meno il pubblico, e “I baffi”, edito di recente da Adelphi è tra questi. Scritto in pochissimi mesi nel 1985, questo romanzo breve cala il lettore negli scomodi panni di un architetto benestante parigino. Perché scomodi, direte voi?

Perché la vita del protagonista viene sconvolta da un gesto apparentemente innocuo.

Il nostro, architetto, rientra nello stereotipo che vuole gli uomini piuttosto abitudinari: nei riti quotidiani, ma anche nell’aspetto. In questo caso, egli (non ha nome) per anni ha sempre portato i baffi, i quali, si intuisce chiaramente, sono diventati parte integrante della sua identità. Eppure, in fondo, sono solo baffi, se tagliati possono ricrescere, no?

Ed il nostro architetto decide, appunto, di tagliarli, per fare uno scherzo alla moglie, un innocuo gioco senza conseguenze eccessive, al limite un po’ di imbarazzo nel mostrarsi diversamente dal solito, o la scoperta di non piacersi (e piacere) senza, ma, certamente, nulla che non sia rimediabile in pochi giorni, lasciando loro il tempo di ricrescere, per poi, perché no, dimenticare tutto. Soltanto che la moglie non dà segni di reazione. E nemmeno gli amici, i colleghi. E via via, ogni certezza del protagonista crolla. E con lui crolliamo anche noi, i lettori, che non sappiamo a quale verità ancorarci, se sospettare insieme a lui di chi lo circonda, o se, piuttosto, dubitare della sua lucidità mentale.

Dato che leggere un libro ci obbliga, molto più di quanto faccia un film, ad empatizzare con il protagonista, devo dire che è un’esperienza umanamente interessante quella di entrare nei panni di una persona che si chiede se non stia impazzendo. Ci sono paragrafi memorabili in proposito (e diciamocelo, la consapevolezza della “salvezza” alla quale, a differenza del protagonista, possiamo tornare soltanto alzando gli occhi dal libro, è notevole).

Perché leggere questo libro?

Perché, come le migliori storie, dietro un’apparenza surreale, distopica, si nasconde una realtà che non amiamo ricordarci, ma con la quale, ogni tanto, bisogna coraggiosamente confrontarsi: che ogni gesto è irreversibile. Carrère ce lo racconta nel modo più brillante e anti-petulante possibile.

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