Il femminismo del cinema italiano degli anni ’60

Netflix ha riproposto alcuni vecchi film della Loren per usarli come trampolino di lancio di quello nuovo da loro prodotto (che mi rifiuto di vedere, “La vita davanti a sé” di Gary è il mio libro preferito, abbiate pazienza, ma non ce la posso fare, vederlo trasposto al giorno d’oggi non m’aregge).

In questo periodo Raiplay sta riproponendo molti titoli della Nouvelle Vague, tempo libero ne ho assai poco, tentazioni tante, eppure, spinta dal bisogno di leggerezza (solo chi ha scritto una tesi di dottorato durante una pandemia mondiale può capire), mi sono riguardata “Pane, amore e…”

Il fatto è che la prima volta che l’ho visto manco me la ricordo. Forse ero bambina. Insomma, non avevo fatto caso ad alcune cose, e tanto meno nelle visioni successive.

In questo periodo, però, stavo riflettendo sul fatto che la Storia dei costumi sociali ha un andamento tutt’altro che lineare, ma, piuttosto, il famoso andamento del cha cha cha. Due passi avanti e uno indietro. Pertanto, complici forse l’uso social creati da un manipolo di tetta-fobici, o la nutrita lobby dei giornalisti ostinatamente simpatizzanti del delitto d’onore, l’impressione che ho è che la generazione dei miei genitori vivesse in un clima meno bigotto di quello attuale. Per dire: una volta le spiagge erano piene di donne in topless, ora credo di non vederne una da qualche decade.

Perciò sono quasi trasalita rendendomi conto che i personaggi che facevano interpretare alla Loren fossero più che moderni, praticamente proiettati nel futuro prossimo, dato che al momento, così, non se ne vedono proprio al cinema (in televisione, peggio mi sento). Spesso interpretava una donna sola, nel dopoguerra, sessualmente attiva, libera, che rifiutava di sottomettersi agli uomini. Più femminista di così, si muore. Certo, sappiamo tutti che una volta i film italiani erano caratterizzati da una coraggiosa sincerità che poi, dagli anni ‘80 in poi, non si è mai più vista. Si parlava di donne piegate dalla logica delle fuitine e dei matrimoni riparatori1, uomini piacenti che soffrivano di impotenza2, donne povere triturate dal sistema dello showbiz3, poliziotti corrotti4, mammoni resi incapaci, dalle madri, di avere relazioni sane con le donne5, insomma, per farla breve, tutta una serie (escluso forse il primo) di casi che ancora oggi si ripresentano piuttosto di frequente, ma dei quali non si parla più, e se lo si fa, mai con quella franchezza. La stessa Sophia, ne “Il segno di Venere”, interpretava una bella ragazza, osannata per il suo aspetto, che finiva per farsi sedurre dal primo che le diceva di apprezzarla per la personalità e l’intelligenza, quando no, chiaramente voleva solo portarsela a letto (e non è cambiato molto nelle tattiche maschili, mi pare, nonostante le donne non siano più così ingenue da un bel pezzo). Però anche in quel caso, pur non essendo un personaggio forte e indipendente, si intuisce con quanta empatia sia stato scritto. Non è la bella cliché, non è bella e stupida, e non è nemmeno la bella e stronza che bullizza la cugina meno piacente (altro grande classico, “la fregna cattiva”, importato, questo, dalle commedie americane). È più simile a una bella ragazza nella realtà: una persona alla quale la bellezza regala gioie e scorciatoie, ma anche fastidi e umiliazioni. Una donna che sa che la sua bellezza può ferire le altre donne che la circondano, anche quando è totalmente assente qualsiasi sentimento di rivalità reciproca.

Ultimamente scrivo pensieri senza sapere dove vadano a parare: anche in questo caso, se non nella considerazione più patetica, eppure genuina: vorrei tanto che scrivessero un ruolo come quelli della Loren, nel 2020. Ne ho bisogno, da spettatrice. Ma anche (e qui arriva il patetismo) da attrice. In fondo, abbiamo avuto una splendida leonessa del sud, ci manca ancora la versione nordica.

Sì, ho messo le note. Si nota che sto scrivendo una tesi di dottorato in questo periodo?

1“Sedotta e abbandonata”, di Pietro Germi (1964)

2“Il bell’Antonio”, di Mauro Bolognini (1960)

3“Io la conoscevo bene”, di Antonio Pietrangeli (1965)

4“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, di Elio Petri (1970)

5Alberto Sordi in “Il segno di Venere”, di Dino Risi, 1955

Lascia un commento